Giovanna D’Ingianna (IdM): “Proporzionale con preferenze, unica strada per una democrazia partecipata”

D’Ingianna (IdM): “Proporzionale con preferenze, unica strada per una democrazia
partecipata”
La riforma elettorale torna al centro del dibattito politico italiano, e non è certo una novità.
Il dibattito ha pienamente ragione d’esistere, trattandosi di un tema critico, storico e
delicato, poiché chiama in causa il meccanismo sul quale si incardina ogni sistema
democratico: permettere ai cittadini di scegliere e far sentire la propria voce. Il problema è
che le discussioni delle principali forze politiche, ancora una volta, non convergono verso la
risoluzione dei bisogni reali dei cittadini, ma si concentrano su un piano secondario e
fuorviante. Con il rischio di affievolire ulteriormente il concetto di partecipazione, insieme
a una fiducia già precaria nelle istituzioni.
Mi riferisco, in particolare, all’emendamento anti-ballottaggi presentato al Senato dal
centrodestra nel dl elezioni. Oggi, nei comuni con più di 15.000 abitanti, serve raggiungere
il 50%+1 dei voti per essere eletti sindaco. Con il nuovo sistema, basterebbe il 40%, anche
con un solo voto in più dell’avversario. Un vero e proprio cortocircuito, se pensiamo al
concetto di democrazia partecipata. Per due motivi. Il primo è tanto banale quanto
aritmetico: solo il 50%+1 rappresenta la vera maggioranza; tuttavia, preferisco da sempre
parlare di valori e principi, più che di freddi numeri: il ballottaggio rappresenta un
(secondo) momento di confronto democratico fondamentale, significa scegliere con
maggiore consapevolezza il proprio rappresentante.
Ciò che desta in me maggiore perplessità, però, non è tanto il contenuto della proposta,
quanto il metodo con cui si vuole introdurre una modifica tanto delicata: un semplice
emendamento. Apprendo con sollievo il fatto che il Presidente della Repubblica Mattarella
si sia fatto (nuovamente) garante della Costituzione, esprimendo l’impossibilità di attuare
una modifica di questo tipo con un emendamento in itinere alla predisposizione delle
elezioni comunali.
Resta però l’amarezza: queste sono scelte che meritano un dibattito vero, profondo,
collettivo. Non una scorciatoia parlamentare. Discussioni di questo tipo devono entrare a
far parte di una più ampia (e quanto mai necessaria) riforma elettorale che vada in
un’unica direzione: rafforzare i valori della democrazia partecipata, che in quanto tale
stabilisca un nuovo e fondamentale rapporto fra cittadini e istituzioni, basato sulla fiducia.
E allora, se si vuole davvero discutere di legge elettorale, si parta da ciò che non funziona
davvero: l’attuale sistema per le elezioni politiche. Un misto tra proporzionale e
maggioritario che ha cancellato il legame diretto tra cittadini e rappresentanti. Come Italia
del Meridione, chiediamo con forza un ritorno al sistema proporzionale con preferenze.
Perché oggi quando votiamo non scegliamo persone, ma simboli e liste: i candidati
vengono imposti in base a logiche di segreteria e dinamiche verticistiche. Il proporzionale
con preferenza sarebbe una svolta capace di generare un duplice, tangibile beneficio
collettivo.
Ai cittadini verrebbe innanzitutto restituita la piena libertà di scegliere un volto, una storia,
un percorso. Ogni persona ha il diritto non solo di sapere, ma anche di scegliere a chi
assegna la propria preferenza, a chi concede la possibilità, l’onere e l’onore di
rappresentarlo in Parlamento. La politica tornerebbe carne e ossa, non solo strategia e
potere. Pensiamo a una regione come la Calabria: immaginiamo attività di coinvolgimento
per i cittadini, mediante piattaforme partecipative che fungano da volano di discussione
per tematiche, idee, azioni che rispondano a problematiche reali, concrete. Sarebbe una
rivoluzione culturale, prima ancora che politica. Ma per realizzarla servono strumenti
giusti. E la legge elettorale è il primo passo.
Il proporzionale consentirebbe ai piccoli partiti di ritornare davvero ritornare sulla scena.
Con il maggioritario è attualmente preclusa ogni possibilità di crescere, insieme
all’opportunità di fare da portavoce dei bisogni delle fette più piccole – ma non per questo
trascurabili – di popolazione. Certo, si potrebbero applicare soglie di sbarramento, ma si
tratterebbe di un passo in più verso un principio che deve ritornare realtà: la democrazia
ha senso solo se la quota di chi prende parte ai processi decisionali aumenta, non il
contrario.
Sì, siamo già consapevoli dell’obiezione: “Con il proporzionale non c’è stabilità”. Detto che
in fase di riforma ci si adopererebbe per l’individuazione di un equilibrio, anche questo
rischio non giustifica la continua concentrazione di potere nelle mani di pochi: un governo
stabile non può nascere dalla compressione del pluralismo, dalla riduzione delle voci. Un
Parlamento rappresentativo, anche se più frammentato, è un Parlamento più vero.
C’è una differenza profonda fra obiettivo e ambizione. L’ambizione è più nobile. L’obiettivo
di avere un governo stabile (o immutabile?) non può sovrastare l’ambizione di avere un
Parlamento che rifletta davvero tutte le sfumature d’Italia, che dia spazio a tutte le voci.
Come Italia del Meridione, lo sappiamo bene: quelle voci basse, quei sussurri che nessuno
vuole ascoltare, sono in realtà grida d’aiuto. Scomode, per questo ignorate. E noi abbiamo
il sogno di trasformarci in megafono.
Giovanna D’Ingianna
Vice Segretario Federale Italia del Meridione